Prima premessa: La favola di Babbo Natale.
Anni fa, in una scuola elementare australiana, (1) una supplente venne sospesa per avere rivelato ai suoi allievi che Santa Klaus non esiste, e che sono i genitori a portare i regali ai bambini. Un errore ritenuto imperdonabile: non pochi di quei genitori protestarono infuriati, e il Preside si vide costretto a chiedere l’intervento del Ministero della Pubblica Istruzione. Risultato: da quel momento tutte le scuole avrebbero dovuto attenersi ad una precisa indicazione: spetta ai genitori, e ad essi soltanto, rompere l’incantesimo di Babbo Natale.
La raccomandazione e lo scandalo si reggevano su una teoria molto diffusa, secondo la quale ogni bambino nutrirebbe in sé un originario pensiero magico, prima di precipitare senza paracadute nel mondo reale, dove non ci sono più topolini, fate e folletti a proteggerlo. Ma chi ha autorità per decidere quale sia il momento opportuno per tale passaggio luttuoso?
A questa domanda rispondo con un’altra domanda: noi adulti sappiamo davvero da dove vengono i bambini? Conosciamo chi sono i bambini che abbiamo messo al mondo e con cui viviamo, nonché quelli che noi stessi siamo stati? In realtà coltiviamo una non innocente ignoranza al riguardo, e intanto manteniamo la nostra stessa infanzia nell’amnesia: ci sembra di non ricordare le domande, le curiosità e il lavoro intellettuale con il quale noi per primi abbiamo ingaggiato gli adulti con cui siamo cresciuti.
Il bambino è già al lavoro allorché sorprende l’adulto con la domanda più imbarazzante che l’umanità abbia mai conosciuto: da dove vengono i bambini?
Questa domanda getta gli adulti nell’imbarazzo: spesso balbettano risposte parziali o addirittura raccontano storie improbabili. Presto o tardi il bambino si accorgerà che gli si raccontano favole, ossia frottole, per nascondere il corpo e le sue prime movenze sessuali, pisellini e passerine, sotto cavoli e cicogne. Al bambino non resterà che continuare ad indagare tutto «solo e pensoso», finché sconfortato non manderà tutto il ben pensato in … rimozione, congelando la questione. Di essa, con tutti gli annessi e connessi che si porta dietro, rimarranno solo brandelli di ricordi, mentre le favole continueranno a segnalarne importanza e confini. Dell’aura di quella questione fondamentale sono segnate anche le favole di Natale: dopo la leggenda di Babbo Natale, quella di Dickens più di altre.
Seconda premessa: Il Racconto di Natale di Dickens.
E’ noto a tutti il Racconto di Natale (A Christmas Carol) di Charles Dickens, pubblicato a metà dell’800: se non lo abbiamo letto nelle numerose edizioni per ragazzi, lo abbiamo conosciuto grazie al cartone di Disney (1983). Il racconto della tormentata notte dell’usuraio Scrooge, ammonito dai fantasmi alla vigilia del Natale 1843, «va al di là del semplice recupero di costumi del passato, creando di fatto un nuovo genere letterario, quello del “racconto di Natale” o “di fantasmi”, da narrarsi la sera della Vigilia riuniti in cerchio davanti al focolare”». In esso «la filosofia natalizia dickensiana, sentimentalista e populista, raggiunge la sua più perfetta espressione, con la celebrazione del mistero religioso della nascita, del trionfo della vita». (2)
Ma è questo il Natale? O non è piuttosto l’adattamento di esso alle esigenze educative proprie del capitalismo borghese? Di certo, esso ha distolto l’attenzione da un fatto che ci interroga ancora oggi, coprendolo sotto la neve, le stelle e le strenne.
Uno scoop: Freud e il Natale (1896).
Il racconto di Dickens ebbe una grande diffusione ed è da ritenere che fosse noto anche a Freud. Questi, il 1° gennaio 1896, volle contrassegnare uno dei suoi primi scritti, La nevrosi da difesa, (Die Abwehrneurosen) con il sottotitolo Racconto di Natale (Weihnachtsmärchen). (3) Scherzava? Una battuta frivola o immotivata non era nel suo stile. L’accenno al Natale si spiega ancor meno se si pensa che egli era ebreo, in certo senso sui generis, ma con una robusta formazione nella cultura ebraica. (4) Che cosa lega, dunque, il suo Racconto di Natale agli inizi della nevrosi descritti in modo particolareggiato in quelle pagine?
Certo, sembra che con esse Freud abbia voluto correggere il titolo del racconto dickensiano. Consultando la letteratura psicoanalitica, non ho trovato nessuno che abbia svolto indagini su questo punto. Eppure è impensabile che egli abbia “buttato lì” un simile sottotitolo senza avere in mente qualche nesso, sia pure solo implicito, con il contenuto di quelle pagine. Resta da vedere quale.
La questione cattolica del Natale.
Il nocciolo di quel breve testo è la descrizione dello scontro, o conflitto, tra il pensiero infantile e la censura operata dalle teorie che lo danneggiano e lo ammalano. (5) Fino a quel momento il bambino, come dicevo all’inizio, si applica correttamente al coniugio, in due modi o momenti: sia con l’attenzione con cui osserva il legame esistente tra i genitori, sia con il trasporto (Gefühl) con cui mira a prendervi posto.
Eppure, di fronte alla censura impostagli dall’esterno, il pensiero del bambino è “impreparato” (parola usata da Freud nel testo). E’ questa l’ingenuità, come osserva G.B. Contri: il bambino ha nove vite come i gatti, ma non è pronto a reagire allo scandalo procurato dall’adulto che gli intima di non pensare a certe cose. (6)
In realtà, come nascono i bambini è la questione per eccellenza. E’ logico supporre che Freud abbia chiamato queste pagine Racconto di Natale pensando che la nascita di Gesù veicola con sé proprio tale questione. Ed è interessante che la veicoli per i cristiani come per tutti. Freud non fa che raccoglierla. Infatti il racconto di quella nascita a Betlemme riapre i giochi per l’intelletto di ciascuno: che cosa significa Padre e che cosa significa essere figlio? Il caso di Myriam (Maria) di Nazareth, unico nella storia dell’umanità, resta da approfondire perché è rilevante per tutti, credenti e non. E’ davvero καθολικός, katà òlon, cattolico. Auspico che qualcuno tra i lettori, per primo Giacomo Contri, voglia proseguire la ricerca in tal senso.
NOTE
1. Cfr. La Repubblica, 4 dicembre 2001, p. 24.
2. Cfr. Lucia Fiorella, Introduzione a Charles Dickens, Canto di Natale, Giunti Editore, 2005, pagg. 7-18.
3. Il sottotitolo riportato dall’edizione italiana è Favola di Natale (OSF, Bollati Boringhieri, Epistolari, Lettere a Wilhelm Fliess, pagg. 190-198), mentre nell’edizione inglese (Standard Edition) esso è A Christmas Fairy Tale. Il 1° gennaio 1896 Freud scrive all’amico; oltre alla lettera, gli invia una bozza a carattere scientifico divenuta nota come Minuta K. Sono poche pagine in cui mette a punto la propria dottrina della nevrosi. Circa il curioso sottotitolo, i curatori delle edizioni inglese e italiana si limitano a ricondurlo al “momento della stesura”, per l’appunto i giorni antecedenti il 1° gennaio. Uno di essi trova perfino che Freud faccia dell’ironia, opinione da cui dissento decisamente: Freud è uno scrittore originale, ma sempre serio e sistematico, forse a volte persino pedante.
4. E’ verosimile che Freud abbia ricevuto notizie circa il Natale cristiano dalla sua tata, una donna cattolica di nazionalità ceca, cui egli era stato molto affezionato.
5. Un esempio molto istruttivo di censura imposta dagli adulti è quello della madre del piccolo Hans, narrato da Freud nel celebre saggio Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans), 1909, OSF, Bollati Boringhieri, vol. V.
6. Si veda la trattazione del lemma ingenuità in G.B. Contri, Ordine Giuridico del Linguaggio, Sic Edizioni, 2003, pag. 162. Ringrazio G.B. Contri e M.G. Pediconi per le conversazioni avute con loro su questo tema in questi giorni (Natale 2012).