Un bambino di quattro anni, dopo avere guardato più volte il cartone Cenerentola in compagnia della madre, la invita a giocare con lui. Con qualche incertezza fonologica, ma nessuna incertezza nell’assegnare le parti, le dice: «Io plincipe, tu Cenelentola; poi andiamo alla fètta con tutti notti amici: Pieto, Maìa… poi mangiamo, balliamo… e papà… papà…». La madre: «E papà?». Il bimbo ci pensa un momento, poi risponde con tono soddisfatto: «Papà chiude callozza!». (1)
Un Eureka degno di Archimede: papà farà il lacchè, come il cane Tobia nel cartone di Disney.
Eppure la maggior parte dei genitori troverebbe la conversazione – raccontatami anni fa dalla madre stessa – simpatica e divertente, e glisserebbe con un sorrisino di compiacimento. Grave censura: l’episodio descrive infatti un pensiero coniugale, perfettamente civile e cólto, elaborato motu proprio dal bambino quattrenne, che desidera entrare a far parte del legame già esistente tra quell’uomo e quella donna, detti papà e mamma.
Questo bambino, o meglio questo pensatore, ha approfittato della fiaba per proporsi come principe e fare la corte alla madre. Una soluzione intellettuale, morale e giuridica che io trovo perfino migliore rispetto a quella contenuta nella tragedia di Sofocle, di cui Freud si è servito per descrivere ciò che ha chiamato complesso edipico.
Infatti qui non vi è nessuna volontà omicida nei confronti del padre, nessun parricidio reale né fantasticato. Anzi, il figlio prende in prestito la donna del padre e ne fa la sua sposa. Non la rapisce, né fugge con lei, ma celebra nozze legittime al cospetto di tutti, rappresentati in particolar modo dal posto assegnato al padre: papà farà da testimone. Oltretutto troverà così un nuovo impiego.
Non solo: nel caso pensassimo a chissà quale istinto filiale destatosi per corrispondere all’istinto materno, (2) informo che questo bambino conosceva appena sua madre, essendo stato adottato qualche mese prima dell’episodio narrato. Del resto, ogni bambino non reca inscritta, nel cervello o nel patrimonio genetico, l’idea precostituita (engramma) di papà e mamma.
Bisogna dire che ad un pensiero nuziale siffatto non corrisponde una civiltà identicamente orientata, e forse non è mai esistita. Ciò non impedisce che il bambino, una volta eccitato dalle prime cure ricevute, tratti tutta la realtà che gli è accessibile come un bene ereditabile.
Due osservazioni:
1) Chiunque abbia a che fare con bambini in età prescolare, o comunque entro la prima infanzia, può raccogliere molti esempi analoghi a quello che ho narrato. Per farlo, non occorre possedere una speciale preparazione in psicologia dello sviluppo. Ma è vero che troppo spesso risulta difficile al nostro intelletto adulto realizzare – nel duplice senso della parola – una soluzione del genere: perciò non la recepiamo quando essa viene elaborata dall’intelletto di un bambino. L’episodio narrato rappresenta così un ottimo test per l’intelletto dell’adulto.
2) Qualcosa del genere è stato osservato dallo stesso Freud, ad esempio nel caso del Piccolo Hans. Quando il padre di Hans lo sorprende mentre gioca con i suoi bambini immaginari, Freud commenta: «Tutto finisce bene: Il piccolo Edipo ha trovato una soluzione più felice di quella prescritta dal destino. Invece di togliere il padre di mezzo, gli accorda la stessa felicità che ambisce per sé: lo nomina nonno e fa sposare anche a lui la sua madre». (3) La letteratura, psicoanalitica e non, ha sì versato i proverbiali fiumi d’inchiostro intorno a questo celebre saggio freudiano, ma non su questo rilevantissimo punto! Un’omissione, e un’occasione mancata.
Altri passaggi dell’opera freudiana documentano il suo preciso orientamento sempre volto a guadagnare, per via logica, il rapporto con il padre. Un solo esempio: in una pagina autobiografica del 1936, Freud riferisce che persino Napoleone Bonaparte avrebbe voluto il padre accanto a sé nel momento della sua massima gloria. Egli menziona infatti la frase con cui Napoleone si sarebbe rivolto al fratello al momento dell’incoronazione, «per commentare: “Cosa direbbe Monsieur notre père, se potesse essere qui adesso?”». (4)
Un’ultima informazione per coloro che hanno ricevuto una buona formazione liceale. La cultura classica – certo non da buttare – è ricchissima di miti e teorie che rappresentano ancora oggi il lascito dei Greci. Ebbene, il mito del Re tebano Edipo ha ancora qualcosa da dire. Risulta pertanto difficilmente sostituibile con quello di Telemaco, cui Massimo Recalcati dedica il suo ultimo libro, ancora fresco di stampa e non privo di spunti interessanti. (5)
Telemaco, il giusto erede, il figlio giusto – come l’Autore lo definisce – attende con tutto se stesso il ritorno del padre. Ma che farà dopo la notte dei Proci, cioè dopo che Ulisse avrà compiuto la sua vendetta riscattando il regno e l’onore di Itaca? Siederà sul trono al posto del padre o i due regneranno insieme? Condivideranno il talamo con Penelope o passeranno la vita ad uccidere altri per non ammazzarsi tra loro? Nell’Epilogo del suo libro, Recalcati confida di avere avuto, da bambino, «due eroi: Gesù e Telemaco. Era il mio modo di meditare sul legame con mio padre e sulla sua assenza.» Se la via greca al rapporto col padre sembra ormai del tutto esplorata, non si può dire altrettanto della via inaugurata dall’ebreo Gesù, non a caso più volte citato in questo libro. A mio avviso, sia dentro che fuori il cristianesimo, il suo pensiero resta in gran parte inesplorato all’inizio del terzo millennio. (6)
P.S. Ho notizia che quel bambino di quattro anni ha recentemente compiuto i diciotto: gli dedico questa pagina, con l’augurio che sappia ritrovare quel suo primo pensiero, riscattandolo dall’oblìo cui sarà andato incontro nel frattempo.
NOTE
1. L’episodio, e parte del commento, si trovano anche nel paragrafo L’appuntamento di Edipo, in: G.M. Genga, Aldilà: il corpo e i suoi appuntamenti, in: Pensare con Freud, 3^ ed., a cura di G.M. Genga e M. G. Pediconi, Sic Edizioni, 2008, pagg. 82-84.
2. Bip-bip: così viene rappresentato il legame madre-bambino in alcune orribili favole recenti.
3. S. Freud, Analisi di una fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans), 1908, OSF, Bollati Boringhieri, vol. V, pag. 551.
4. S. Freud, Un disturbo della memoria sull’Acropoli: lettera aperta a Romain Rolland, 1936, OSF, vol. XI, pag. 480. A questo breve scritto di tenore autobiografico dedicherò presto un commento più articolato, che ora rinvio per motivi di spazio.
5. M. Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, marzo 2013.
6. Su questo tema, rinvio anche a: AA.VV., Mosè Gesù Freud, Sic Edizioni, 2007.
Illustrazioni di Chiara Ciceri