Né romanzo né saggio, Gli sdraiati di Michele Serra è stato definito «il caso editoriale dell’anno». (1) Uscito nel novembre scorso, in poche settimane ha raggiunto sei edizioni e una tiratura di centosettantamila copie. Accattivante, anzitutto per come è scritto, il libro ha il merito di trattare una questione che interessa tutti.
Come Moretti (vedi il mio articolo precedente su La stanza del figlio), Serra è un intellettuale influente nel panorama della sinistra italiana, e non ha bisogno di presentazioni. Tra i suoi scritti, segnalo la bella introduzione a I ragazzi di via Pál (2) perché rivela bene la cifra del percorso intellettuale di Serra (classe 1954): la sincera preoccupazione per la netta e forse irreparabile separazione tra adulti e adolescenti. Del resto, il fascino che l’adolescenza esercita su tutti, sinistra compresa, data da più di un secolo (penso a L’adolescente di Dostoevskij, 1875), e uscirne non è impresa da poco.
Per comprendere il successo de Gli sdraiati, e scoprirne i pregi come pure il punto debole, occorre lasciar cadere quegli stereotipi che una volta erano detti “steccati” (comunisti da una parte e cattolici dall’altra). Partiamo dal costatare che intorno a questo libro si è subito levato un nutrito coro di commentatori, illustri e non, che gli hanno tributato elogi su elogi. Lerner, Recalcati, Fazio e Littizzetto e molti altri rappresentano la voce della cultura. (3) Sulla scorta di Freud ci si può chiedere: quale cultura?
Gli «sdraiati», questi sconosciuti
Con questo epiteto Serra non solo designa, ma motteggia e sferza i giovani di oggi, continuamente distesi sul divano e intenti a navigare, twittare, postare, messaggiare, cliccare, sordi e restii ad ogni invito a lasciarsi provocare dalla realtà circostante, avvolti come sono da un cloud telematico che, mentre sembra connetterli all’universo intero, li rende inaccessibili. (4)
In poco più di cento pagine molti sono gli spunti gustosi e tre i filoni che si avvicendano.
Il primo è un insieme di quadretti che, mentre descrivono i giovani in modo impietoso, rivelano il risentimento di un padre che perde terreno nei loro confronti. Sia che inviti il figlio a vendemmiare, sia che venga intercettato da un tale che si presenta come «il tatuatore di suo figlio», egli vede confermato ciò che ha già intuito: come padre e come educatore, è un perdente.
Altro filone: la fantasia delirante di una guerra prossima ventura, la Grande Guerra Finale tra Vecchi e Giovani. Lo scontro planetario terminerà nel 2054 con la vittoria dei Giovani, grazie al tradimento di tal Brenno Alzheimer (nomen omen), comandante in capo dei Vecchi.
Il terzo filone, disseminato qua e là, è una specie di antifona che scandisce il ritmo a tutto il libro: è il reiterato e patetico appello perché il figlio dica finalmente di sì ad un’escursione in montagna insieme al padre. Come non accorgersi che questi si presenta come una presenza asfissiante? Il figlio ha le sue ragioni se non vuole seguirlo: tutto qui, il desiderio del padre nei suoi confronti? Abramo intendeva sacrificare Isacco a Jahvè, ma Serra a chi o a che cosa lo sacrifica? Come il padre interpretato da Moretti nel suo film, anche Serra non vuole che il figlio vada per suo conto. Che angoscia, che stress!
Entrando in un «negozio di felpe»…
E’ il capitolo più riuscito. «Non è un normale negozio», scrive Serra. Polan&Doompy, sigla fittizia del negozio in cui è riconoscibilissimo il brand Abercrombie&Fitch, è un vero e proprio tempio. Avendolo visitato anch’io poco dopo l’apertura a Milano, riconosco che Serra ha ragione. L’architettura e il design, decisamente più spinti rispetto ad altre catene commerciali internazionali come Hard Rock, Apple o Harley Davidson – lascia letteralmente disorientati. Serra se la prende con «l’avvilente massificazione dei consumi», ma simili luoghi non sono il parto di irrazionali tendenze giovanili, bensì il trend del capitalismo adulto di oggi. Con alcuni antecedenti illustri: nell’Ottocento nacquero i passages di Parigi, precursori degli odierni centri commerciali e analizzati in lungo e in largo da Walter Benjamin; (5) nel Novecento fu la volta delle stazioni di benzina progettate da Frank Lloyd Wright per celebrare il nuovo stile di vita americano, inebriato dalla ricchezza dei giacimenti petroliferi.
Oggi, Abercrombie&Fitch assolda come commessi aitanti modelli “palestrati”. E il gioco è fatto. Di qui l’avvento e l’incarnazione dei nuovi dèi, venerati da una moltitudine di fedeli e aspiranti: il lessico di Serra sembra, anzi è mutuato da quello delle organizzazioni cattoliche giovanili.
Narcisismo?
«Se si discute ancora tanto di Narciso (…) è perché amare solo se stesso gli impediva di amare un altro». Acuto giudizio, come il successivo, che Serra attribuisce ad «una improbabile guida» di Pompei di fronte all’affresco di Narciso: il «bellissimo giovane che vedendo la sua immagine riflessa in uno specchio d’acqua volle baciarla, si buttò e morì annegato. Insomma: uno scemo totale». E conclude: «Dal punto di vista psicoanalitico non saprei dire; dal punto di vista tecnico il giudizio è ineccepibile.» (6) Io freudiano rispondo: ineccepibile, ben detto! Eppure la sua accusa non centra il punto: ogni impresa che produca un reddito fa economia, e per ciò stesso non può essere tacciata di narcisismo.
Spiace che il capitolo del tempio delle felpe termini con una fantasia di tenore sodomitico, solo apparentemente debitrice dell’infantile «giocare al dottore»: l’idea di fare innamorare qualcuno in quel certo modo rivela un’opinione scorretta e bieca del corteggiamento. Infatti egli rinuncia del tutto al moto del parlare, che invece segnerebbe la fine del narcisismo e l’avvio del legame con l’altro.
L’amore platonico per il figlio
Il commento porterebbe lontano. Conosco il caso di un uomo che, pur avendo acquistato il libro, non si è ancora deciso a leggerlo: teme infatti di ritrovarvi la quota-parte di innamoramento che compone il proprio affetto per il figlio ventenne. La “cornice” del libro è tutta maschile – lo dichiara l’Autore stesso – e colpisce l’assenza totale di qualsiasi legame uomo-donna. A Serra non resta altra strada che l’alienazione dell’amante tutto dedito al giovane amato che non lo contraccambia. Lo mostra bene l’incipit del libro: «Ma dove c…o sei? Ti ho telefonato almeno quattro volte, non rispondi mai.» E’ quella che chiamerei una variante del Simposio di Platone. In effetti, il punto di vista di Serra è propriamente platonico: osservazione che non mi risulta sia stata fatta. Storicizzando, non ci vuole molto a riconoscere in questi padri il senso di colpa per avere contestato-combattuto i propri padri nel ’68. Ne consegue una cecità: Serra reclama il figlio come fosse un oggetto smarrito, ma proprio per questo motivo non riesce a vedere, ad esempio nel disordine della camera del giovane, la provocazione e l’appello che questi gli rivolge.
Come uscirne?
Un suggerimento può venire dall’episodio del ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio. (7) La sua risposta ai genitori è sbalorditiva: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose di mio Padre?». (8) Un brano certamente ostico: la predicazione menziona il più delle volte solo il finale in cui il giovane, tornato a casa, «stava sottomesso» ai genitori e «cresceva in sapienza, età e grazia». Eppure l’episodio fu considerato degno di nota dagli estensori dei vangeli.
L’allontanarsi dalla carovana senza chiedere permessi esemplifica bene tutto lo schiudersi di un orizzonte nel pensiero di un ragazzino ormai pronto per il Bar mitzvah. Con questa cerimonia, ancora oggi un bambino ebreo diviene imputabile a tutti gli effetti di fronte alla legge e da quel momento può partecipare alla vita della comunità degli adulti.
La secca risposta di Gesù dodicenne corregge dunque la flessione educativa contenuta nel rimprovero dei genitori.
Ho menzionato questo episodio perché mostra la migliore tenuta del rapporto padre-figlio nella cultura ebraica rispetto a quella greca, così impregnata di omosessualità. Più in generale, chiunque può ritrovarsi anche oggi nella posizione di Miriam e Joseph, e come loro sorprendersi quando i figli mostrano di possedere un loro criterio e una loro bussola. Interessanti, questi giovani! siano essi eretti o sdraiati.
NOTE
1. M. Serra, Gli sdraiati, Feltrinelli, novembre 2013.
2. F. Molnár, I ragazzi di via Pál, introduzione di M. Serra, traduzione e cura di R. Borrelli, Feltrinelli, 1992. Il celebre romanzo uscì a puntate su un settimanale di Budapest nel 1907.
3. Tra i molti contributi, segnalo solo due video reperibile sul web:
Gad Lerner, http://www.youtube.com/watch?v=nPIUG8FkBoo
l’intervista-fiume di L. Littizzetto a M. Serra, http://www.youtube.com/watch?v=nK4b8wAFLng
4. Sul medesimo argomento segnalo un libro originale e intrigante della scrittrice spagnola Remedios Zafra: Sempre connessi. Spazi virtuali e costruzione dell’io. Presentazione di B. Tobagi, Giunti Editore, 2012.
5. W. Benjamin, I «passages» di Parigi; con contributi di E. Ganni e a cura di R. Tiedemann, Einaudi, 2010. Rinvio anche al ricco saggio di F. Desideri Teologia dell’inferno. Walter Benjamin e il feticismo moderno, in: Figure del feticismo, a cura di S. Mistura, Einaudi 2001, pagg. 175-196.
6. M. Serra, Gli sdraiati, pag. 67.
7. «Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che lo udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e per le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”». (Luca II, 46-48).
8. «Io sono qui per una ragione alla quale non vi vedo adeguati»: così G.B. Contri nel suo commento a questo episodio in: La Decisione (II), in: SanVoltaire. Incontri e scontri di un freudiano dopo Lacan, Guaraldi, 1994, pag. 157. http://www.giacomocontri.it/TESTI%20CONTRI/SAN%20VOLTAIRE%20PDF%201.pdf