“Quello che erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo” *
Prima di archiviare l’estate appena trascorsa, propongo una nota sul tema dell’ultimo Meeting di Rimini, “Quello che erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”: uno dei titoli migliori nella storia della kermesse riminese.[1] La frase (Was du ererbt von deinen Vätern hast, / Erwirb es, um es zu besitzen) è tratta dal Faust, l’opera più celebre del massimo poeta tedesco, W. J. Goethe (1749-1832), ed è nota a molti. Pochi, però, sanno che anche Freud l’ha citata, rivelandola per ciò che essa è: una questione fondamentale per la civiltà stessa. Il tema meriterebbe una trattazione ben più ampia, mentre mi limiterò a delineare appena il nocciolo dell’apporto freudiano. [2]
FREUD CON GOETHE: IL DISCORSO NELLA CASA NATALE DEL POETA
“L’onore che mi tributate, e che mi sorprende, (…) evocando la figura universale del Grande che nacque in questa casa, che trascorse in queste stanze la sua infanzia, ammonisce in un certo senso a render conto del proprio operato di fonte a lui, e pone la questione di come si sarebbe comportato lui, se il suo sguardo attento ad ogni innovazione scientifica fosse caduto anche sulla psicoanalisi.” [3]
Sono parole di Freud in occasione del Premio Goethe, conferitogli a Francoforte nel 1930, nella casa natale del poeta: il discorso, letto dalla figlia Anna – egli, già molto malato, non poté recarvisi personalmente – ha attirato l’attenzione di diversi studiosi, anche tra coloro che non sono psicoanalisti. Ad esempio, Tomas Anz, nel saggio Una linea retta da Goethe a Freud, [4] osserva come Freud rovesciò le attese di quanti si aspettavano che egli si giustificasse per essere stato accostato a Goethe, autore che del resto conosceva a menadito, come ogni viennese o tedesco colto dell’epoca, e per il quale nutriva una enorme ammirazione. Non senza ragione, “la vicenda di Faust è stata considerata un’anticipazione della psicoanalisi”. [5] Il brano riportato è un esempio della posizione di Freud nei confronti di molti autori classici, il cui retaggio egli teneva nella massima considerazione, pur senza alcuna timidezza o ossequio pregiudiziale. Nel caso di Goethe, viene da pensare che egli sia stato influenzato anche da un’altra opera del poeta, Il divano occidentale-orientale (1819): mi riferisco all’uso del divano in quella particolarissima conversazione che è la seduta psicoanalitica.
FREUD RACCOGLIE LA QUESTIONE DI GOETHE
Fra le molte citazioni di Goethe riportate da Freud, segnalo solo quelle relative al nucleo ora in esame, un nucleo che lo stesso poeta sembra evocare da un duplice punto di vista: dalla posizione del figlio-erede, o allievo, e da quella del padre, o maestro.
La posizione del figlio-erede è richiamata nel monologo di Faust, ed è appunto la frase posta a titolo dal Meeting: “Quel che hai ereditato dai tuoi padri / riguadagnatelo, per possederlo.”
La posizione del padre o del maestro è invece messa in bocca a Mefistofele, ed è complementare alla precedente: “Addentrarsi in indagini scientifiche non serve: / ognuno impara solamente quel che può.” E ancora: “Tanto quel che sai di meglio / non puoi dirlo ai tuoi alunni”. [6]
Il gap generazionale non è dunque un fenomeno del Novecento o degli anni della contestazione. Allo stesso tempo, è interessante notare che “Faust e Mefistofele si dividono i ruoli ma agiscono in vista del medesimo scopo.” [7] Viene da pensare che Goethe abbia rielaborato in questo modo il rapporto non facile che ebbe col proprio padre, uomo colto e benestante, il quale si dedicò a lungo alla formazione del figlio, avviandolo a quella carriera di avvocato che invece il giovane decise ben presto di abbandonare.
Questa tensione, insita in ogni passaggio generazionale, è proprio ciò che destò l’interesse di Freud, costantemente attento ad individuare tutto ciò che compone il ‘complesso paterno’.
Occorre però sbarazzare il campo da un equivoco, suggerito dalla presenza dell’albero stilizzato nella locandina del Meeting. Con le sue linee e i campi geometrici che ricordano Piet Mondrian, l’immagine non rende ragione alla questione goethiana: infatti nell’ereditare non vi sono radici o frutti, bensì atti prettamente giuridici, cioè umani.
LA MEDESIMA QUESTIONE SECONDO FREUD
Nelle ultime pagine di Totem e tabù (1912-13) troviamo un esame molto attento di ciò che consente il progresso nella civiltà: “Se i processi psichici di ogni generazione non si prolungassero nella generazione successiva, ogni generazione dovrebbe acquisire ex novo il proprio atteggiamento verso l’esistenza, e non vi sarebbe in questo campo nessun progresso e in sostanza nessuna evoluzione. (…) E di quali mezzi e vie si serve una generazione per trasferire alla successiva le proprie condizioni psichiche? [quesito perfetto, ndr] Non sarò io ad affermare che questi problemi siano stati sufficientemente chiariti, o che la comunicazione diretta e la tradizione, alle quali si pensa come prima cosa, siano sufficienti alla bisogna. (…) il compito sembra assolto in parte con l’ereditarietà di alcune disposizioni psichiche, che richiedono tuttavia una certa spinta individuale per ridestarsi e diventare operanti. Forse è questo il senso delle parole del poeta: “Ciò che hai ereditato dai padri / riconquistalo, se voi possederlo davvero”.
Freud non si ferma qui, ma fa un passo ulteriore: “Il problema apparirebbe ancora più difficile se dovessimo ammettere che esistono moti psichici tali da poter essere repressi così completamente che di essi non resta traccia alcuna. Ma moti del genere non esistono. Anche la repressione più violenta è costretta a lasciare spazio a moti sostitutivi deformati e alle reazioni che ne conseguono. Ma se le cose stanno così, possiamo formulare l’ipotesi che nessuna generazione sia in grado di nascondere alla generazione successiva processi psichici di una certa importanza. La psicoanalisi ci ha infatti insegnato che ogni uomo possiede nella sua attività psichica inconscia un apparato che gli consente di interpretare le reazioni di altri uomini, ossia di far recedere le deformazioni che l’altro ha imposto all’espressione dei propri impulsi emotivi. Su questa stessa strada (…) può essere riuscito a generazioni successive di fare propria l’eredità emotiva delle generazioni precedenti.” [8] [il corsivo nel testo è mio, ndr]
Apprendiamo così che per Freud un pensiero non può mai essere rigettato fino a scomparire del tutto e a far sì che non lasci traccia di sé. Pur se deformato, esso trapela fino a divenire pubblico, cosicché le generazioni successive possono accorgersi delle deformazioni operate da quelle precedenti e ricostruire quanto era stato rimosso. Non è il caso di drammatizzare, come invece fa l’isteria: anche i padri possono venire ‘sgamati’, e il modo più mite per farlo è ricorrere ad un’analisi. Se mi è consentita un’altra espressione gergale, direi che Freud invita ciascuno a ‘darsi una mossa’. Insomma, figli non si nasce, ma si diventa.
IL ‘PROFITTO TEORICO’, O LA PRIMA VOLTA DELLE NUOVE GENERAZIONI
Freud era consapevole di essersi proposto un compito che esulava dai limiti della formazione ricevuta anzitutto dal proprio padre. Inoltre, la riluttanza e l’ostilità con cui le sue prime scoperte furono recepite dall’ambiente medico viennese lo convinsero ben presto della novità e della portata di tali scoperte.
Quando scrisse che “il Super-io è l’erede del complesso edipico”, sentì il bisogno di aggiungere che esso “si insedia solo in seguito alla liquidazione di quest’ultimo”. Ora: il complesso edipico designa il pensiero ben formato del bambino allorché la sua ricerca del soddisfacimento incontra la differenza tra i sessi e quella tra le generazioni. Dunque il Super-io (la coscienza morale) non è tanto l’erede di quel primo pensiero, quanto piuttosto l’usurpatore. [9] Passato e presente non si compongono necessariamente in una sintesi, ma disegnano i confini in cui solo il lavoro di pensiero dell’individuo può venire a capo del conflitto, talvolta con successo, talaltra con discrepanze e insuccessi. Il futuro sarà l’esito di questa ricapitolazione individuale, e dipenderà da quello che sarà stato il lavoro costituente di ognuno.
L’apporto dei genitori e degli educatori può essere certo rilevante, ma non è affatto garantito che si riveli benefico in ogni caso: spesso, anzi, gli adulti mostrano di non essere all’altezza di una legge compiuta dei propri moti, finendo per deludere e confondere il bambino.
Nel caso della nevrosi, questi riesce, benché a fatica, ad individuare altri sportelli grazie ai quali potrà riorientare i propri moti. Freud parla addirittura di un ‘profitto teorico’: l’aggettivo teorico in questo caso è tutto da scoprire. Infatti ha a che fare con il mangiare, correre, disegnare e mille altre azioni che il bambino eredita e ripete in altrettante ‘prime volte’ rispetto alle generazioni che lo hanno preceduto. [10] Solo così egli può riconoscere e consolidare le proprie competenze e abilità, ben oltre ogni modellizzazione o misurazione (Q.I., scale di intelligenza e test non servono o sono addirittura dannosi).
Faust o non Faust, ciascuno farà bene a non lasciarsi arrestare o inibire da alcun ipse dixit, e a procedere a ricapitolare quanto gli è stato insegnato, o che ha letto e ascoltato. Ereditare comporta seguire i propri eccitamenti, come pure seguire chi li ha destati o ri-destati, insieme alla spinta ad emulare i padri e i maestri. Il monito di Goethe rilanciato dal Meeting resta di cruciale importanza.
Il fatto è che Freud a Rimini… non c’era: ce l’ho portato io adesso.
* Articolo pubblicato il 6 ottobre 2017 nella rubrica Father and Son del sito www.culturacattolica.it e l’11 ottobre 2017 sul sito www.societaamicidelpensiero.it.
[1] Questa traduzione, adottata dai promotori del Meeting, si discosta leggermente da quella di A. Casalegno (Faust Urfaust, Garzanti 1990, pagg. 52-53): “Quello che hai ereditato dai tuoi padri, guadàgnatelo, per possederlo”, come pure da quella che troviamo nelle Opere di Sigmund Freud (Bollati Boringhieri, vol. VII, pag. 161): “Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero.” Infatti il tempo presente (erediti) non traduce letteralmente, ma ha il vantaggio di mostrare come l’ereditare non sia qualcosa di concluso una volta per sempre, ma continui a rinnovarsi nel presente. Per quanto riguarda “erwirb es”, l’aggiunta del prefisso (ri-guadagnalo, ri-conquistalo) forse non convince pienamente, poiché il verbo tedesco non indica una ripetizione in senso stretto; tuttavia è corretta se quel ri- significa “ogni volta, tutte le volte”. (Ringrazio Maria Guidarelli e Peter Aufkleiter per i loro suggerimenti a questo riguardo).
[2] Il Meeting 2017 ha offerto più di un’occasione di riflessione intorno all’eredità: ad esempio, la sorprendente mostra curata da Giuseppe Frangi Il passaggio di Enea, che presenta l’artista contemporaneo come un nuovo Enea; l’originalissima e suggestiva rappresentazione teatrale Padre e figlio, opera del drammaturgo Fabrizio Sinisi; l’avvincente lezione del prof. J.H.H. Weiler, Rubando l’eredità dei padri. Giacobbe ed Esaù. Su questi importanti contributi mi propongo di ritornare più avanti.
[3] Cfr. S. Freud, Discorso nella casa natale di Goethe a Francoforte, OSF, vol. XI, pag. 7.
[4] T. Anz, Eine gerade Linie von Goethe zu Freud. Zum Streit um die Verleihung des Frankfurter Goethe-Preises im Jahre 1930, http://literaturkritik.de/id/9478
[5] Cfr. A. Casalegno, Note, in: Faust Urfaust, op. cit., pag. 1205.
[6] Cfr. S. Freud, Autobiografia (1924), OSF, vol. X, pag.77, e Discorso nella casa natale di Goethe a Francoforte, OSF, vol. XI, pag. 12.
[7] Cfr. G. Mattenklott, Introduzione, in: Faust Urfaust, op. cit.
[8] Cfr. S. Freud, Totem e tabù (1912-13), OSF, vol. VII, pagg. 160-1.
[9] Cfr. G.B. Contri, Lexikon psicoanalitico e Enciclopedia, Sic Edizioni, 1987, pag. 18.
[10] Cfr. S. Freud, Compendio di psicoanalisi, parte terza, Il profitto teorico, OSF, vol. XI, pag. 634.