Nell’articolo Freud con Goethe dell’ottobre scorso mi riproponevo di dedicare una pagina alla bellissima pièce teatrale Padre e figlio, rappresentata all’ultimo Meeting di Rimini.[1] Lo faccio solo ora, dopo alcuni mesi: tempi… biblici, ma pur sempre proporzionati, trattandosi di relazioni bibliche.
Fin da bambino provavo un sentimento denso e spiacevole di fronte ai tantissimi delitti narrati nell’Antico Testamento: la colpa dei progenitori che ricade, chissà perché, su tutte le generazioni successive, un fratricidio, un ragazzino abbandonato dai fratelli nel deserto in una cisterna e venduto come schiavo, popoli interi passati a fil di spada, e via dicendo. L’infanzia e l’educazione di molti di noi sono state accompagnate da quei personaggi, storici o letterari che fossero. In Padre e figlio, il drammaturgo Sinisi ne offre una eccellente caratterizzazione, dotandoli di pensieri che rendono ragione degli atti loro attribuiti dalla Bibbia. Ora mi soffermerò su Caino.
La pièce teatrale ‘Padre e figlio’
Massimo Popolizio interpreta in modo straordinario il testo che Sinisi ha concepito partendo da alcuni brani dell’Antico Testamento. L’opera è suddivisa in tre capitoli: Caino e Abele; Abramo e Isacco; Giacobbe ed Esaù. Sulla scena l’attore non è l’unica presenza: un ruolo fondamentale è svolto dal Siman Tov Quintet, che esegue bellissimi brani di musica klezmer, genere tradizionale ebraico. Il tutto è arricchito dalla sorprendente arte interattiva di Massimo Ottoni: in piedi ad un lato del palco, egli sfiora lo schermo di un computer come se avesse in mano un pennello, mentre sullo sfondo del palcoscenico danzano forme colorate e sinuose in grande sintonia con le note. Un accompagnamento perfetto e coinvolgente.
Caino e Abele: quando le economie erano separate
Il racconto biblico riserva poche e scarne righe alla vicenda dei due fratelli. Sinisi ha potuto – e saputo – prestare loro una fisionomia, argomentazioni logiche, passioni ed affetti, offrendo allo spettatore molteplici spunti e suggestioni.
Per esempio ad Abele, che conosciamo solo come prima vittima innocente, viene messa in bocca una pesante accusa verso il fratello maggiore: “Il Signore ama i semplici, e tu, Caino, pensi troppo”.
Una vera infamia, la sua! Che significa? Non è cosa peggiore pensare troppo poco? Niente è più pericoloso della coppia malvagità-stupidità, come mostrano moltissimi episodi di cronaca nera.
È quel che sostiene anche Woody Allen in più di un film: in particolare, Sogni e delitti (2007) è una rivisitazione lucida e impietosa del fratricidio, i cui protagonisti sono per l’appunto due fratelli, delinquenti e inetti allo stesso tempo.[2] Tipi così esistono davvero, e sono molto lontani da drammi o conversioni simili a quella creata dal Manzoni nella ‘notte dell’Innominato’.
Tornando alla pièce, Caino ci viene presentato capace di dibattere con suo padre Adamo: “E Abele, che ha di meglio di me?’. ‘Abele dà quello che ha senza trattenere nulla. Dona e non vuole niente in cambio. Ha tutto perché vuole tutto. Davanti al Signore non ha segreti né pretese. C’è molto da imparare, in Abele. Ma tu non lo guardi. Non lo guardi mai.’ Non è vero che non lo guardavo. Lo guardavo eccome. Ma senza che nessuno mai se ne accorgesse.”
Il Caino di Sinisi non si dà per vinto: “non solo i padri morirebbero per i figli, ma anche i figli morirebbero per i padri, se gli venisse chiesto. E uccidere Abele per me fu come morire, morire per te (si rivolge ancora al padre, ndr), morire perché tu finalmente mi guardassi per quello che ero: non l’altro, ma ‘io’, Caino, ‘io’.” Egli vuole, pretende che il padre conosca il suo smisurato ‘amore’ per lui, ora che è arrivato perfino ad uccidere per emanciparsi dal secondogenito così scomodo.
Tema vasto e complesso. Freud osserva: “Il bambino piccolo non ama necessariamente i suoi fratelli, spesso palesemente non li ama affatto (corsivo mio, ndr).” “Si può osservarlo con maggiore facilità in bambini da due anni e mezzo fino a quattro o cinque anni, quando sopravviene un nuovo fratellino. Questi perlopiù ha un’accoglienza molto scortese. Espressioni quali: “Non mi piace, voglio che la cicogna se lo riporti via” sono assai frequenti. In seguito ogni occasione sarà buona per denigrare il piccolo arrivato, e tentativi di fargli persino del male, veri e propri attentati, non sono niente di inaudito.”[3]
Dopo Freud moltissimi autori, psicoanalisti e non, hanno sottolineato il narcisismo di Caino, la sua incapacità di amare e i diversi ‘meccanismi psichici’ legati all’invidia che egli ha coltivato per non essere stato il preferito agli occhi dei genitori.[4] Ma simili commenti possono scivolare nell’errore, comune a tanta psicologia novecentesca, di separare la vita intrapsichica da quella reale, e l’economia affettiva dall’altra economia, che guida la politica e la società.
Preferisco seguire il commento di G.B. Contri, che scrive: “Sulla vicenda di Caino e Abele è prevalsa l’idea del delitto passionale, ma non torna perché i due “fratelli” sono intercambiabili (poteva essere Abele a uccidere Caino, proprio come x e y sono intercambiabili). I due coltivano campi separati e non connessi (pastorizia e agricoltura), non sono “fratelli”, non hanno legame sociale, l’uno è civilmente morto per l’altro, una pura sagoma per l’altro”. Contri individua bene qual è l’errore comune ad entrambi: in ciascuno dei due “l’indifferenza precede e prepara l’ostilità. Nessuno dei due si è permesso di offrire appuntamento ossia di fare società d’affari come Regime dell’appuntamento.”[5]
Per dirlo con uno slogan: l’alba della civiltà non ha visto il sorgere di una ‘Eredi di Adamo ed Eva S.p.A.’
Nessuno tocchi Caino
Nel testo biblico, quel fratricidio ha un seguito – anche se spesso la predicazione non ne fa menzione – nel grido accorato di Caino (“la mia iniquità è tanto grande che io non posso sopportarla!”) e nella pronta risposta di Jahvè, che proibisce a chiunque di ucciderlo; se ne può dedurre che, quando questo testo venne redatto, la legge del taglione era già in vigore presso quei popoli.
Javhè – scrive ancora Contri – “gli lascia tempo per passare a nuovo Ordine, e infatti Caino “divenne un costruttore di Città”. Nessuno tocchi Caino è anche il nome di una nota lega internazionale, costituitasi nel 1993, attiva nella lotta contro la pena di morte e la tortura, nella ricerca di forme di giustizia in cui sia espunta ogni sete di vendetta.[6]
Nel Caino di Lord Byron (1821), sia la madre Eva che l’Angelo del Signore paventano al fratricida le terribili conseguenze del suo atto: “Tu hai ucciso tuo fratello, e chi ti garantirà da tuo figlio?”[7] Il clima livido di quel momento è reso molto bene dall’impressionante dipinto di Fernand Cormon (1845-1924) riprodotto all’inizio di questa pagina: Caino si avvia all’esilio con tutti i suoi familiari. Poiché Abele non aveva generato figli, su quel carro è raffigurata in un certo senso l’intera umanità, perché tutti possiamo considerarci suoi discendenti. Nessuno può dirsi estraneo rispetto al compito di costruire un legame sociale foriero di pace. Ha dunque ragione Sinisi, quando sottolinea la contemporaneità dell’intera vicenda riproposta nel suo spettacolo.
P.S.: Trovo che il Natale abbia a che fare con tutto questo, molto più che con la favola moderna dei buoni sentimenti, rappresentata al meglio da quel Canto di Natale con cui Dickens nel 1843 perfezionò la rimozione del Natale – perché di questo si trattò – reinventandone completamente il senso originario.[8]
[1] Padre e figlio (sceneggiatura di Fabrizio Sinisi e regia di Otello Cenci) è stato rappresentato a Rimini il 23 agosto 2017. Autore, regista e interpreti hanno saputo portare all’attenzione di un vasto pubblico temi molto rilevanti. Rinvio all’intervista rilasciata da Sinisi a Il Sussidiario il 17 agosto 2017: Padre e figlio. Tra Bibbia e teatro per riscoprire i rapporti fondamentali per l’uomo. Mi auguro che lo spettacolo venga presto riproposto in diversi teatri italiani: merita.
[2] I due anti-eroi di Woody Allen, ingenui eppure bastardi senza scrupoli, ricordano i balordi del film di Godard Bande à part (1964), sopravvalutato dalla critica, o i sicari di Fargo (1996) dei fratelli Coen, i quali trassero da un fatto di cronaca una sceneggiatura dal cinismo esasperato e quasi insostenibile.
[3] S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, 1915-17, lezione 13, OSF, VIII pagg. 372-3.
[4] Sull’argomento rinvio a: M.G. Pediconi, G.M. Genga, L. Flabbi, Invidia versus legame sociale. Una nuova idea di profitto, in: Teorie & Modelli, n.s., XVIII, 2, 2013 (7-23). Una breve rassegna di autori e opere che hanno riproposto la figura e il dramma di Caino tra ‘800 e ‘900 (tra cui Byron, Santucci, Borges, Lacan, Saramago e Steinbeck) si trova in A. Zaccuri, Caino, il dramma del fratricida, https://www.avvenire.it/agora/pagine/il-dramma-di-caino
[5] G.B. Contri, Caino e Abele senza permesso, in Think!, 30 ottobre 2013: www.giacomocontri.it/2013/10/caino-e-abele-senza-permesso/
[6] Al tema della vendetta è dedicata la rassegna The Dead-End Road of Revenge. Il vicolo cieco della vendetta, (MIC, Museo Interattivo del Cinema, Milano), che promuovo con la Società Amici del Pensiero in collaborazione con la Fondazione Cineteca Italiana, http://www.cinetecamilano.it/rassegna/the-dead-end-road-of-revenge-il-vicolo-cieco-della-vendetta-cine-seminario-con-la-psicoanalisi
[7] Lord Byron, Cain. A Mystery, testo originale a fronte, con un articolo di J.W. Goethe, tr. it. di F. Milone, introduzione e note di G. De Lorenzo, Sansoni Ed., Firenze, 1942.
[8] Dickens: l’uomo che inventò il Natale è il titolo dell’interessante film diretto dall’indiano B. Nalluri, con D. Stevens e C. Plummer, uscito in questi giorni nelle sale italiane.