PER UN NATALE… IMPAGABILE

Glauco Maria Genga

Presepe

 

«Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade»: così scriveva il 26 dicembre 1916 il fante Giuseppe Ungaretti, in licenza di Natale a Napoli. A più di un secolo di distanza altre guerre sono in corso, i media mostrano immagini insostenibili di devastazioni e a non poche persone verrebbe da dire la stessa cosa: non ho voglia di tuffarmi…

Il fatto è che quest’anno i gomitoli delle nostre strade mi sembrano meno scintillanti del solito. Forse è solo un’impressione. Non l’unica, però.

Due settimane fa camminavo per le strade di Manhattan: un palo della segnaletica era addobbato con un abete illuminato, quello accanto con le candele di Hanukkah e un altro ancora con un gigantesco fiocco di neve fatto con lampadine LED. Su WhatsApp ho ricevuto più volte in questi giorni la medesima vignetta spiritosa sul presepe inclusivo. Forse non è male che sia così, ma occorre riorientarsi. Leggiamo o sentiamo dire che non è la meta ciò che conta ma il viaggio, e che il Nuovo non è propriamente nuovo, ma un diverso modo di vedere quel che già esisteva (ho appena letto qualcosa del genere nell’interessante articolo Gesù l’ebreo, pubblicato nel 1896 da Lou Andeas-Salomé, intellettuale di spicco vissuta tra Ottocento e Novecento).

Provo dunque ad uscire dal gomitolo.

Mi servo anzitutto di una definizione che ho udito anni fa da Giacomo B. Contri: «E’ gratuito ciò che non è pagabile in equivalenti». Non ricordando né data né luogo, mi limito ad annotare la frase. Nell’ottobre scorso ho chiesto ad un docente di diritto che cosa ne pensasse, dopo averlo sentito trattare un tema affine durante una Conferenza dell’International Society of Public Law (ICON-S). Mi ha risposto che trovava quella definizione interessante, confermandomi che il tema del gratuito rappresenta una vera questione per il diritto.

Non ho alcuna competenza specialistica, dunque quel che segue è solo un appunto. Quando contraccambiamo qualcosa che ci è stato offerto, possiamo pensare che sia «finita lì» e che restituire significhi ristabilire l’equilibrio: nessuno avrà guadagnato alcunché. Ma se non troviamo un equivalente è tutt’altra cosa: si viene a creare una situazione impari, in cui non si può fare riferimento ad alcuna reciprocità e si è di fronte ad un’alternativa. Possiamo pensare che si tratti di un debito: è la tesi, per esempio, di Joseph Roth nel famoso racconto La leggenda del santo bevitore (1939). Oppure possiamo prendere atto che ci è stata aperta una sorta di linea di credito. È un’obbligazione ma, constatando che quel certo bene o servizio ricevuto è impagabile, non proveremo neppure a ricompensare chi ce l’ha offerto: sarebbe impossibile. Piuttosto, si tratterà di farsi venire un’idea per passare ad una proposta ulteriore, ad un’iniziativa che tenga in vita quella relazione in vista di ulteriori possibili guadagni per entrambi. E così via.

È (abbastanza) noto che Freud, memore della lezione di John Stuart Mill, di cui aveva tradotto un’opera quando era ancora giovanissimo, introdusse il punto di vista economico nella propria indagine sulla realtà psichica. A tutt’oggi, nozioni quali il tornaconto della malattia o il fattore quantitativo nel conflitto nevrotico sono irrinunciabili; chi non vuole saperne, non per questo può dirsi esente da questo redde rationem.

Contri ha inteso riprendere e sviluppare la considerazione della vita psichica come vita economica, oltre che giuridica, nella salute come nella patologia. Penso al suo saggio La rettitudine economica (2009) o al più lontano Economia e felicità (1994). In Contri, la distinzione tra gratuito e dono è netta: «Se il donatore mi pensa suo debitore in seguito al dono, lo giudico un ricattatore e ricuso il dono.» (Think!, 9 luglio 2007). È probabile che quella definizione di gratuito (non pagabile in equivalenti) fosse la sua risposta al Saggio sul dono di Marcel Mauss. Ad ogni modo, in quel momento egli non si riferiva esplicitamente a Gesù Cristo. Ora applico quella definizione all’incarnazione: la nascita di Gesù fu un atto gratuito perché, letteralmente, impagabile. A prescindere dal credere o no alla rivelazione cristiana, suggerisco di inscrivere logicamente la natività di Betlemme all’interno di categorie economiche. La notizia che un tale, Gesù di Nazaret, si è detto figlio di Dio, se ritenuta affidabile, mette ciascuno nella posizione di destinatario di un atto realmente impagabile. Chi ha paura di una tale posizione?

A ben pensarci, molti atti della vita quotidiana possono essere considerati alla stessa stregua. Prendersi cura di un bambino appena nato comporta un flusso continuo di tali atti ed è un’esperienza impagabile. Gravidanza e parto non sono mai il raggiungimento di un obiettivo imposto dalla coazione del cosiddetto orologio biologico (argomento che, a  ben vedere, non persuade chiunque sia dotato di buon senso).

Sono partito da quanti non hanno voglia di tuffarsi nel gomitolo delle strade di un Natale ormai caduto in rimozione. Ora il pensiero va a chi si trova nella condizione di non potere in alcun modo accedere a quelle strade, anche se lo volesse. Una malattia organica invalidante o la vecchiaia può costringere il corpo a fermarsi: la sindrome di Guillaine-Barré, ad esempio, può rendere impossibile persino suonare il campanello per chiamare il personale sanitario. Tutto cambia aspetto e valore, senza che ciò autorizzi a pensare che si appartiene tutti alla morte, come nel melanconico finale della pur bella poesia ‘A livella di Totò.

Il quesito che pongo è un altro. Chi è stato per decenni benestante o ricco quanto pagherebbe perché qualcuno sia in grado di intendere i suoi desideri e lo aiuti a muoversi per soddisfarli? Quanto vale il sapere posizionare un cuscino sotto il capo del paziente o saper leggere il movimento delle labbra di chi non articola nemmeno una parola mentre vuole dire qualcosa?

Termino con un fatto esemplare, raccolto proprio in questi giorni. Una paziente novantenne, da tempo residente in una casa di riposo, non ha parenti; è un po’ disorientata, ma non del tutto. Mentre l’infermiera le dà la terapia, la ferma: «Mah! So che è Natale, ma non me ne accorgo neanche…» L’infermiera osserva la camera della paziente, più che decorosa, e risponde: «Domani ti porto le statuine del presepe.» L’infermiera ha a casa un presepe fatto di scatole di farmaci, regalatole da una badante: ne estrae Giuseppe, Maria, Gesù Bambino e due angeli. Il giorno dopo: «Rosa, guarda che cosa ti ho portato: è per te. Te le metto in camera.» Mentre posiziona le statuine, sopraggiunge la caposala: «Che ci fai qui al quinto piano?» «Ho portato un pensierino a Rosa: non aveva niente che le ricordasse il Natale!» La caposala, sorpresa, ne è commossa e la ringrazia.

Che cosa ha fatto quell’infermiera? Ha risposto alla domanda implicita della paziente, offrendosi come mezzo per dare soddisfazione al pensiero della signora Rosa. Non ha fatto soltanto assistenza, né ha sottostimato il sentimento di Natale, come fosse meno necessario del cibo. La soddisfazione è sempre soddisfazione del pensiero. La professione infermieristica e quella dell’OSS sono professioni intellettuali, trattando anzitutto il pensiero del corpo del paziente.

Natale… L’incarnazione è Gesù che prende un corpo che pensa e diventa uno di noi. Ecco nella storia un nuovo accadere, che ci permette di riconoscere uomini e donne operatori di civiltà. E questo è davvero impagabile.

 

Milano, 25 dicembre 2023